Dopo gli ultimi fatti di cronaca su alcuni naufragi differenti avvenuti nel Mediterraneo, il consiglio di Amministrazione riflette sul ruolo della società, dei media e della cooperativa rispetto all’accoglienza delle persone che affrontano i viaggi in mare.
Carissime tutte e carissimi tutti, con il rientro dalla pausa estiva vorremmo condividere con voi queste riflessioni.
Le cronache estive ci hanno mostrato che ci sono naufraghi e naufraghi. Non sorprende l’emozione suscitata e la grande mobilitazione per trarre in salvo le persone (occidentali e benestanti) coinvolte nel naufragio dello yacht Bayesian, nave a vela di 56 metri di lunghezza, al largo di Palermo. C’è stata grande trepidazione per i sei dispersi, mentre i quindici salvati sono stati immediatamente condotti al pronto soccorso. In mare si dovrebbe sempre agire così, sempre si dovrebbe palpitare per la sorte dei naufraghi, sempre bisognerebbe ricoverare a terra gli scampati il più presto possibile.
Purtroppo, però, queste basilari regole di umanità non valgono per tutte le persone. Colpisce la distanza tra la giusta empatia rivolta ai passeggeri dello yacht e il trattamento politico e mediatico riservato ai naufraghi dei viaggi della speranza dalla costa sud del Mediterraneo.
Scaricabarile tra governi, incessanti tentativi di addossare l’onere dei soccorsi alle autorità dei paesi da cui salpano le imbarcazioni (Libia, Tunisia, Egitto, Turchia…), arrivando a ritardi, omissioni, disimpegno delle navi in transito. Monta sempre più l’indifferenza per la sorte delle persone che affrontano il mare per cercare asilo in Europa, e i loro naufragi fanno sempre meno notizia.
I naufraghi del Bayesian non avevano nessun bisogno di ricorrere a mezzi di fortuna per raggiungere le coste siciliane, non sapevano di affrontare un rischio così grande, né tantomeno avevano intenzione di presentare una domanda di asilo, sempre ammesso che questa sia una colpa; non hanno gravato sul sistema di accoglienza e non hanno chiesto aiuti allo Stato italiano, a parte l’immediato soccorso.
Tuttavia, la vicenda appare una parabola del dominio della cultura dello scarto di cui parla papa Francesco, il quale recentemente ha detto: “C’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti e quando questo è fatto con coscienza e responsabilità e un fatto grave”.
Già sappiamo che la mobilità attraverso i confini è selettiva, consentita ad alcuni esseri umani e interdetta ad altri. La selezione si basa su tre criteri: passaporti, portafogli, professioni. Chi possiede il passaporto giusto, oppure un portafoglio ben fornito, oppure una professione richiesta nei luoghi di destinazione, gode di diritti di mobilità forse mai così estesi.
Tutti gli altri sono consegnati a un radicamento forzato nei luoghi di origine o di transito, non tenendo minimante conto delle ragioni che li sollecitano a muoversi. Ora abbiamo ulteriore conferma che pure i soccorsi, la compassione e l’accoglienza dei sopravvissuti, al pari delle ricerche e recupero dei defunti non sono uguali per tutte le persone. Anche le più elementari regole di umanità sono applicate selettivamente, assurgendo a simbolo di un mondo drammaticamente sperequato.
Occorre oggi chiederci se noi, singolarmente o come cooperativa, contribuiamo, seppur in piccola parte, a colmare questa sperequazione? O possiamo fare di più?
Il consiglio di Amministrazione